martedì 23 aprile 2013

Lettera dal futuro


Cara lettrice, o caro lettore...

Se stai leggendo questa lettera di me ormai non sarà rimasto nulla, solo polvere, così come il nostro mondo. Ti lascio queste parole in modo che, qualunque cosa tu sia, e con te la tua razza, non commettiate gli errori che abbiamo commesso noi, che ci hanno portato alla rovina.
Eravamo una razza pacifica, gentile, ci piaceva la scienza, la cultura, le arti. Nel corso della nostra storia, incrementammo le nostre conoscenze, le nostre tecnologie, sperando di colmare quel vuoto, quella paura della solitudine che spesso ci attanagliava. In un certo periodo della nostra storia, cominciammo a costruire aerei e navi, per portarci in ogni punto del nostro pianeta in pochissimo tempo. Le distanze si accorciavano, eravamo tutti più vicini, meno soli, o almeno era questo che pensammo al tempo...
Dopo non molto, arrivò la prima invenzione che sancì la nostra distruzione, non che ovviamente ce ne accorgemmo all’epoca, e non fu tanto neanche per colpa di essa, ma come al solito per colpa nostra e nel modo in cui la utilizzammo; la chiamammo internet, era un modo per rimanere in contatto con persone distanti migliaia di chilometri in pochi secondi, di scambiarci opinioni, notizie, tutto in tempo reale. Non serviva quasi più viaggiare, una persona poteva accendere il computer e avere tutto il mondo a portata di mano, sembrò una rivoluzione meravigliosa.
Noi però, fummo talmente presi che non ci accorgemmo che il tempo che ci passavamo lo stavamo sottraendo alle persone, al suono della voce, a quello del mare, al contatto con la natura, con le lacrime, insomma al contatto con il mondo. Tutti erano in conessione con tutti, eppure eravamo più soli, più tristi.
Dei pericoli riguardanti al tempo che passavamo su internet non ce ne curammo, solo qualche persone lanciò un grido di allarme, che passò totalmente inosservato; eravamo concentri su altri problemi, quello delle risorse, dell’energia, dell’inquinamento, che eravamo certi ci avrebbero portato sull’orlo del baratro, e sarebbe stato così probabilmente, se non fummo responsabili di una ben più infausto fato.
Non solo ogni anno che passava passavamo sempre più tempo su internet, ma cominciammo anche a usarlo sui nostri telefoni, fiumi di persone che passeggiano a pochi passi di distanza e che neanche si rendevano conto della presenza dell’altro perché stavano guardando lo schermo del cellulare, ci eravamo trasformati in zombie, tutto per non essere soli...
Ma anche questo non era più sufficiente, nell’anno che sancì la nostra definitiva scomparsa, quel famoso 2100, ci spingemmo oltre; inventammo il trasferimento di coscienza, che come dice il nome, ci permise di trasferire la nostra coscienza all’interno di internet, della rete. Sembrava il paradiso, non solo avevi una conoscenza che non ti saresti mai sognato, ma potevi avere l’aspetto che volevi, vivere nel mondo che volevi, eri un Dio insomma. Inoltre, quando eri connesso le tue funzioni vitali erano al minimo, e quindi necessitavi di meno cibo, energia, e i governi, alla disperata ricerca di un metodo per diminuire i bisogni della gente, ci invogliarono a passare sempre più tempo all’interno di essa. Sembrava la soluzione a tutti i problemi, invece fu la fine; sempre più gente non voleva più uscire dalla rete, i governi cominciarono a promulgare leggi che permettevano di vivere anche solo all’interno. Le città si spopolarono, nessuno coltivava più, si scambiava baci, comunicava di persona. Un gruppo di noi, me compresa, qualche migliaia in tutto il mondo, cercò di cambiare, di opporsi, di far capire cosa stava realmente succedendo. Ma si sa, le persone diverse sono sempre state emarginate e temute, e fu così anche per noi, con l’ultima guerra, milioni di persone uscirono per l’ultima volta dalla rete per ucciderci tutti, e per poi tornare al loro mondo. 
Del mio gruppo sono rimasta solo io, ora sono vecchia, e sto vedendo l’energia che tiene in vita le persone attaccate alla rete andare via via sparendo, visto che nessuno fa più manutenzione, e quindi sono testimone della fine della mia gente.
Le sole cose che mi consolano, sono questa lettera, e la certezza che quando arriverà il mio momento, potrò vedere e toccare le mie lacrime....

venerdì 12 aprile 2013

Maschere


Uno, nessuno e centomila.
Come sapete questo è il titolo di uno dei più famosi romanzi di Pirandello, ma è anche un grande metafora di vita. L’uomo, alla disperata ricerca di se stesso, non si accorge, o forse fa finta di non accorgersi, della sua natura molteplice, a seconda delle persone e delle situazioni. Ogni momento passiamo da seri a spiritosi, da gelosi a traditori; questo è sempre successo, e il romanzo di Pirandello ne offre una immagine nitida. Non ci possiamo fare niente, è la natura umana, che ci spinge a fare delle cose di cui a volte non ci accorgiamo. Perché si fa questo? Come spesso accade, la motivazione è quella di essere felici; lo facciamo perché non vogliamo soffrire, per paura di perdere le persone a cui si tiene se scoprono i nostri sentimenti, le nostre paure, per cercare di apparire migliori di quello che si è. Che cosa brutta questa, dovremo fare tutto il contrario, essere sempre noi stessi, fregarsene dei commenti della gente, non aver paura di mostrare le nostre paure; ci dobbiamo accettare per quello che siamo, e non per quello che vorremmo essere. Lo so, è dura, spesso ci odiamo per come siamo, per come si affrontano determinate situazioni, per come non si fanno i gesti che dentro di noi vorremmo fare, per le parole non dette alle persone amate, ma occorre partire dall’accettazione del nostro essere per cercare poi di migliorarlo; inoltre, ci dobbiamo circondare di persone che ci accettano per come siamo, con cui possiamo sfogarci, magari persone ben disposte a porci una spalla su cui piangere. Non so se arriverà mai, ma il giorno in cui le persone faranno pace con loro stesse, beh quel giorno avremo cambiato il mondo...